L’ARCO DI TRIONFO

Il Monumento è ispirato alla tipologia dell’arco trionfale, con gradinate di accesso, arricchito da gruppi statuari e da una abbondanza di motivi decorativi classici.
Esternamente sui quattro angoli sono collocati degli altorilievi, fra colonne corinzie, dedicati verso il fronte all’Artiglieria, da montagna e da campagna, verso il retro ai Bombardieri del Re ed all’Artiglieria pesante-campale.
Ornano i lati dei medaglioni con bassorilievi allegorici indicanti, sulla sinistra, il “Genio del Fuoco” e sulla destra il “Genio dell’aria”.
Al centro dell’arco a pianta ottagonale, è posta la statua di Santa Barbara patrona degli Artiglieri che sostiene nella mano la palma del martirio.
Sui fianchi interni dell’arco con soffitto a lacunari figurano, in due ampie lapidi, i nomi di artiglieri decorati con medaglie d’oro al valore militare.
PERCHÈ A TORINO?
Nessuna altra città d’Italia, come Torino, avrebbe potuto vantare avvenimenti altrettanto significativi nella propria storia, così profondamente legati all’Arma di Artiglieria.

- Fino al 1600 l’Artiglieria non esisteva come arma combattente e i bombardieri non facevano parte delle genti di guerra. I soldati erano “assoldati”, presi dalla vita civile per le loro capacità e remunerati per il solo periodo di guerra.
La militarizzazione dell’Arma iniziò in Piemonte con l’editto del 20 luglio 1625 col quale il Duca Carlo Emanuele I istituì la prima compagnia bombardieri. Successivamente nel 1697, Vittorio Amedeo II costituì il battaglione cannonieri. La prima di queste due date è scolpita sul coronamento del Monumento, la seconda è incisa sulla “freccia” dell’attuale Bandiera dell’Arma. - Sotto il regno di Carlo Emanuele III, con editto del 1734 il battaglione fu elevato a reggimento e nel 1739 furono concesse all’Artiglieria le prime bandiere: una di “battaglione” e una “colonnella”. Ma il provvedimento più importante, sempre del 1739, fu l’istituzione a Torino delle “Regie Scuole Teoriche e Pratiche di Artiglieria e Fortificazione” per la formazione professionale degli ufficiali d’artiglieria. Nel 1775 re Vittorio Amedeo III fondò il Corpo Reale di Artiglieria che nel 1784 fu portato alla forza di una brigata con una propria “bandiera d’ordinanza”.
- Con questo ordinamento il Piemonte affrontò la burrasca napoleonica, passata la quale il “Corpo reale di Artiglieria” venne ricostituito sotto la guida dell’allora principe Carlo Alberto “Gran Maestro dell’Artiglieria “con l’adozione di nuovi materiali.
- Nel marzo del 1848 il Corpo di Artiglieria ricevette la prima bandiera tricolore e partecipò poi a tutte le Guerre d’Indipendenza. Realizzata l’Unità d’Italia, con decreto 4 maggio 1861 si ebbe il primo ordinamento dell’Esercito Italiano nel quale l’Artiglieria, oltre a comprendere i preesistenti reggimenti dell’Armata Sarda, si arricchì di nuove unità costituite con batterie degli Stati preunitari.
- Tra il 1840 e il 1870 furono realizzati i più significativi progressi tecnici, quali i cannoni a retrocarica e la rigatura delle bocche da fuoco con conseguente adozione di proietti ogivali scoppianti che rivoluzionarono le tecnologie dell’Arma, ad opera del generale Cavalli, considerato il padre dell’artiglieria moderna, ufficiale d’artiglieria uscito dalla Reale Accademia di Artiglieria e Genio di Torino.
Torino si candidava quindi naturalmente come località più appropriata per accogliere un monumento celebrativo: qui era stata costituita l’Arma dell’Artiglieria e qui sorgevano importanti industrie metallurgiche che avevano notevolmente contribuito allo sviluppo tecnologico e alla produzione delle armi.
IL COMITATO TORINESE
Nel maggio del 1923 alcuni ufficiali di artiglieria si proposero di realizzare delle iniziative per evocare la storia e le gesta della loro Arma. Tale proponimento era ispirato dalla memoria ancora drammaticamente viva della Grande Guerra conclusa vittoriosamente anche per il contributo dato dall’Arma di Artiglieria. Due furono le proposte realizzate: realizzare un monumento all’Arma e compilare una storia generale dell’Artiglieria Italiana, che vide la luce il 2 agosto 1934 ad opera del Col. Carlo Montù, ideatore e primo Segretario Generale del Comitato per il Monumento all’Artiglieria. L’idea primitiva di Montù, peraltro, era quella di murare una lapide celebrativa nel castello della Venaria, là dove furono costituiti i primi reparti di artiglieria.
Tuttavia, l’idea di destinare una semplice lapide per tramandare il ricordo delle gesta dell’Arma sembrò da subito inadeguata e prese corpo il proposito di erigere un vero monumento. A Torino.
Nel maggio del 1923, con sede in via S. Francesco da Paola 22, nasceva a Torino il “Comitato per il monumento all’Arma Artiglieria, sotto il l’Alto patronato del Duca e della Duchessa d’Aosta’’. Il presidente era il generale Alessandro Goria.
Gli obiettivi del Comitato Promotore erano celebrare fasti della gloriosa Arma, glorificare i lavoratori dell’industria pesante e rendere immemore l’eroicità delle genti d’arma.
L’inaugurazione era prevista per il 1928, in coincidenza con il decennale della Vittoria.
IL PROGETTISTA
Il Comitato nomina come progettista lo scultore Pietro Canonica, (Moncalieri 1869-Roma 1959), già allievo di Tabacchi. Diplomato all’Accademia di Belle Arti di Torino, fu artista di fama internazionale e aveva già realizzato numerose opere a Torino e in Piemonte, in particolare il monumento al Cavaliere d’Italia (1923) di piazza Castello.
LA SCELTA DEL LUOGO NELLA CITTÀ
Canonica e il gen. Goria individuavano anche il sito ideale dove porre la nuova opera: il piazzale Duca d’Aosta, area nella quale convergevano i tre corsi Trieste, Trento e Duca d’Aosta, piazzale di grande effetto scenografico, allora a fronte dell’ingresso principale dello Stadium Nazionale, nell’area dove ora sorge il Politecnico, ora c.so Duca degli Abruzzi.
Di diverso parere il Principe di Piemonte il quale, attraverso il proprio aiutante, tenente generale Ambrogio Clerici, faceva pressioni affinché il monumento sorgesse sulla più centrale piazza Solferino.
La Commissione, in sede di valutazione, individuava però una diversa ubicazione rispetto a quella inizialmente proposta dal Comitato: l’angolo tra corso Vittorio e corso Massimo d’Azeglio, in prossimità di una collinetta esistente nel parco del Valentino. Il sito previsto richiedeva però pesanti e costosi lavori di spianamento e l’abbattimento di alcuni alberi. La Commissione ritenne quindi più idonea, sia per il migliore effetto prospettico che per la mancanza di onerose opere preparatorie, l’area posta all’incrocio tra il corso Cairoli e corso Vittorio Emanuele.
DAL BOZZETTO AL PROGETTO
La città, interpellata, accoglieva favorevolmente l’iniziativa e nel febbraio del 1926 la Commissione Igienico Edilizia richiedeva al presidente del Comitato non solo semplici cartoline, ma maggiori dettagli del progetto, quali il bozzetto o il progetto in scala dell’opera, al fine di procedere alla valutazione dei siti che venivano proposti.
Canonica si mise all’opera, e dopo aver ideato un primo bozzetto di gesso rappresentante un arco a pianta rettangolare, sviluppava successivamente l’idea di un arco a pianta ottagonale. Il bozzetto e l’apparato decorativo furono successivamente ridotti al fine evidente di contenere le spese.
Sparirono i due grandi cannoni sommitali e la grande statua centrale posta davanti al coronamento, sostituita dalla bombarda. Modificati anche i due fianchi laterali: al posto dei fregi in altorilievo, poco dopo l‘inaugurazione del monumento verranno poste due fontane che tuttavia non saranno mai attivate. Il progetto e la nuova ubicazione erano approvati con deliberazione del 23 settembre 1926 dal commissario prefettizio gen. C.A. Donato Etna.
1927 L’INIZIO DEI LAVORI
I lavori iniziavano alla fine del maggio 1927 con l’intenzione del Canonica di ultimarli entro la metà di aprile 1928. Esecutore dei lavori di pietra era la ditta Cavagnino di Rezzato, cittadina presso Brescia, vicino a Botticino, località famosa per le cave dell’omonima pietra calcarea. Le opere edili erano affidate alla ditta Albino Guilizoni.
La costruzione del monumento procede da subito con lentezza a causa di altri impegni dell’artista che lascia come suo sostituto lo scultore Luigi Squarzini e che si impegna a concludere la parte architettonica nel 1928. I lavori iniziano concretamente nell’autunno 1927 e il monumento in soli sette mesi è completato nelle sue parti strutturali e decorative, ma è incompleto nel collocamento delle statue.
Non sono solo le difficoltà tecniche a destare preoccupazioni. L’imponente opera, dallo sterro e dalle fondazioni, prosciuga le casse del Comitato e coinvolge il podestà di Torino, ammiraglio Conte Luigi Balbo Bertone di Sambuy. La data prevista per l’inaugurazione deve essere posticipata a nuovo termine e vengono avanzate richieste di nuovi finanziamenti che sembrano confliggere con il denaro già impegnato per il faro della Vittoria sul colle della Maddalena, inaugurato nel maggio del 1928. Il comune, tuttavia, cede alle pressioni e nel novembre del 1929 il podestà assicura un generoso contributo al riconoscente generale Sasso, vice presidente del Comitato. Il Canonica nel frattempo ultima e colloca tutte le statue e decorazioni previste, seppur in numero ridotto e semplificato rispetto al bozzetto approvato quattro anni prima.
1930 L’INAUGURAZIONE
Tutto ormai è pronto per la fatidica giornata dell’inaugurazione che avverrà, con solenne cerimonia, alla presenza dei Sovrani il 15 giugno del 1930, 12° anniversario dell’inizio della battaglia del Piave, alla cui sorte aveva contribuito l’uso massiccio e devastante dell’artiglieria.
Il Giornale Luce del giugno 1930 in un filmato rappresenta I reali che giungono alla stazione ferroviaria di Torino accompagnati da un folto seguito, il corteo di automobili lungo le vie di Torino scortato da agenti in bicicletta, il monumento ancora coperto da un grande drappo bianco, il picchetto d’onore e la folla che applaude, i plotoni schierati che salutano militarmente ; la benedizione dell’arco ornato da gruppi scultorei in bronzo e il discorso inaugurale del duca d’Aosta, la sfilata degli ex combattenti e la banda militare.
LA VITA DELLA CITTÀ E L’ ARCO DEL VALENTINO
L’opera sorgeva in una Torino che stava velocemente cambiando: sede prestigiosa delle ultime Esposizioni Internazionali, l’ultima delle quali si era svolta dal maggio al settembre del 1928, era percorsa da una frenetica attività edilizia. Il processo di riorganizzazione delle strutture produttive, sorte durante l’iniziale fase di industrializzazione, aveva come simbolo la costruzione dello stabilimento di Fiat Lingotto, inaugurato nel 1923 e accompagnato da Palazzo Gualino che rappresentava uno dei primi esempi di razionalismo italiano.
Per buona parte dei torinesi, che fin dagli anni ’30 dello scorso secolo distrattamente costeggiano il monumento entrando nell’amato parco cittadino, l’opera è semplicemente “l’Arco del Valentino”.
Non sono molti, infatti, a sapere che la porta d’accesso che si apre da corso Vittorio sul polmone verde di Torino rappresenta in realtà il Monumento all’Arma d’Artiglieria.
IL RESTAURO DEL 2004
Uno dei tanti frammenti di storia della nostra città scivolati nell’oblio pur essendo sotto gli occhi di tutti e che dopo oltre settant’anni di discreta presenza su quel crocevia tanto trafficato, incominciava a mostrare degli evidenti segni del tempo.

Il progetto di recupero del Monumento all’Arma d’Artiglieria nasce nel quadro dell’opera di mecenatismo, finalizzato alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale del territorio regionale, condotta dall’Associazione presieduta dall’Avvocato Fabrizio Benintendi che, sul modello di precedenti ed analoghe esperienze di restauro realizzate in città, fra le quali spiccano quelle della Basilica Urbana del Corpus Domini e del Teatro Gobetti, ha stipulato nel 2004 una convenzione con l’amministrazione comunale per il reperimento delle risorse finanziarie necessarie e per l’affidamento dei lavori.
In virtù dell’attività di fund raising sviluppata, l’operazione ha vantato poi la fondamentale collaborazione della FIAT, con cui nella fase preliminare è stato definito un accordo in base al quale, a fronte del finanziamento del progetto di recupero, le impalcature del cantiere di restauro avrebbero ospitato la cartellonistica pubblicitaria del Gruppo.
I lavori veri e propri sono stati realizzati, invece, da un terzo protagonista, la Compagnia Italiana di Conservazione, individuata ormai da tempo dall’Associazione Amici dei Beni Culturali Piemontesi come partner tecnico di riferimento per l’esecuzione dei primi rilievi sul Monumento all’inizio del 2004. Si riscontrarono così evidenti problematiche architettoniche ed artistiche. Le sculture presentavano tracce di deterioramento e corrosioni da inquinamento urbano e la diffusione della tipica colorazione verde sulle parti esposte, cui si associava l’accumulo di depositi nerastri dovuti all’inquinamento atmosferico sulle superfici riparate dalle piogge.
Il lavoro attuato dallo staff, grazie all’impiego di specifiche procedure d’intervento e di moderne tecnologie per la pulitura, il restauro e per la salvaguardia del monumento, è stato orientato al massimo rispetto possibile delle caratteristiche originarie del progetto e dei materiali, ed è giunto a compimento nella primavera del 2005 regalando il vero ed autentico volto del Monumento all’Arma d’Artiglieria ai torinesi. Che probabilmente continueranno a chiamarlo “l’Arco del Valentino”. Ma difficilmente potranno ancora passargli accanto senza lanciare uno sguardo ammirato.
Il monumento all’Artiglieria – Storia, restauro e segreti
DUPONT: IMMAGINI DI STORIA UN REPORTAGE DAL PASSATO
Durante il restauro del monumento sono state trovate dopo 70 anni, 180 lastre fotografiche abbandonate in due locali all’interno dell’arco, da uno sconosciuto Armando Dupont. Di chi si trattava? Con una veloce ricerca di archivio si scoprì che l’uomo, di professione fotografo ambulante, era stato incaricato dallo scultore Canonica di difendere il cantiere dai «vagabondi e malintenzionati» e, dopo l’inaugurazione, aveva ottenuto l’incarico ufficiale di curare il monumento. Lì viveva e lì aveva lasciato le sue fotografie, un interessante ed originale “messaggio in bottiglia” proveniente dallo scorso secolo.
Esaminare con attenzione le foto, una novantina tra le meglio conservate e più significative, è una scoperta nella scoperta. Le immagini testimoniano la vita quotidiana di torinesi e piemontesi a fine anni 20′, un mondo lontano ma reale, fermato negli attimi di vita, che trasmette immagini e sensazioni diverse dalle consuete e facili generalizzazioni. Per chi conosce il contesto storico, politico e sociale di quegli anni, unito al ricordo dei racconti di vita quotidiana di padri e nonni, è possibile cogliere una ben delineata immagine di Torino a metà del ventennio fascista.
Un dato evidente e curioso, è che, dell’oramai consolidato regime fascista, si vedono ben poche tracce: un austero signore con il distintivo del partito fascista al bavero, la cosiddetta “cicca”, un fascio Littorio (poi rimosso nel 1943) sul monumento all’artiglieria e due timide e poco marziali signorine in divisa da Giovani Italiane a fianco di due baldi ma un po’ ossuti atleti. Per il resto, nelle scene di vita civile, militare o privata, nulla traspare delle scenografie o iconografie del Ventennio fascista.
Le immagini di militari, civili, sportivi parlano di una città rimasta, nel cuore, in parte monarchica e liberale e in parte socialista. Una città che, non ancora diffusamente antifascista è, di fatto, a-fascista. E’ un’immagine veritiera, di quella città che Mussolini mai amerà, poco entusiasta e distante dai riti del regime, dove persino i gerarchi fascisti come Cesare De Vecchi di Val Cismon o Paolo Thaon De Revel sono prima monarchici e poi fascisti.
IL MONUMENTO ALL’ARTIGLIERIA DI TORINO
I DOCUMENTI CONSERVATI NELL’ARCHIVIO DELL’ASSOCIAZIONE NAZIONALE ARTIGLIERI D’ITALIA
Il periodo è quello tra il 1926 e il 1932 (salvo una foto datata 1924): è iniziata la dittatura, è già morto esule Piero Gobetti e Antonio Gramsci è in carcere ma, sotto la cenere, la Torino liberale e quella socialista sopravvivono silenziosamente. Torneranno allo scoperto e si ritroveranno poi nella Resistenza. Contro i muri del poligono di tiro del Martinetto (che compare in alcune delle foto di Dupont) moriranno a fianco i militari liberali e monarchici come Giuseppe Perotti e gli operai di sinistra come Errico Giachino. Le Medaglie d’oro al Valor Militare della Resistenza fregeranno i petti dei nobili come il tenente d’artiglieria marchese Felice Cordero di Pamparato e degli operai come Dante Di Nanni. Le scene di soggetto militare ritratte da Dupont illustrano un esercito profondamente legato alla monarchia, reduce dalla gloria di Vittorio Veneto, rimasto estraneo al saluto romano e ai simboli del partito. Il Regio Esercito vive ancora nelle spartane vecchie caserme ereditate dal Regno Sardo. I volti dei soldati sono quelli quadrati e fieri di contadini e operai piemontesi, orgogliosi di essere coscritti nei reparti dove hanno militato e vinto nonni e padri. Gli ufficiali e i sottufficiali sono quelli di un esercito vittorioso, asciutti e orgogliosi, forgiati dal fango delle trincee e dalle nevi delle montagne venete. Portano ancora le divise del- la guerra 1915-18 e l’elmetto metallico “Adrian”, uno dei simboli della prima guerra mondiale, che sarà poi sostituito a metà degli anni 30’.
Le scene civili raffigurano muscolosi e grintosi sportivi ed eroiche signorine in tenute ginniche pudicissime, che gareggiano per le storiche società sportive torinesi nate al termine dell’Ottocento. Le immagini trasmettono gioia e sportività, non si vedono le rigide ed “eroiche” forzose posizioni dell’attività ginnica dei “sabati fascisti”. Le premiazioni sono manifestazioni d’orgogliosi e spontanei atleti, sorridenti, nessuno irrigidito dalla retorica romaneggiante.
Un buon nucleo di foto è inerente alla Mostra Coloniale che celebrava l’Africa Italiana, svoltasi all’interno della grande Esposizione Nazionale Italiana di Torino del 1928. La zona interessata era quella del Pilonetto, dove ora vi sono corso Sicilia e viale Dogali. La mostra era la ricostruzione di un grande mercato africano – animali esotici, piroghe, indigeni delle varie etnie – per dare l’illusione ai visitatori di una visita nelle colonie dell’Africa Italiana. In una scenografia di palme trapiantate, dromedari, finti tucul e minareti di cartapesta sono ritratti uomini e donne con arabi e negri in atteggiamenti amichevoli, simpatici e naturali. Orgogliosi e fieri, carabinieri e militari affiancano con simpatia cameratesca i commilitoni ascari e zaptiè, soldati e carabinieri indigeni. Sono ancora ben lontane le leggi razziali e le rigide forzose separazioni dai fedeli compagni delle guerre coloniali.
Altre immagini testimoniano svaghi semplici e spartani, gite in barca, rustici pic nic dove si banchetta su assi di legno, passeggiate nei giardini torinesi o gite di gruppo tra i monti o a Superga. Immagini di un’Italia povera, ma dignitosa, che ha appena dimenticato il massacro della prima guerra mondiale e non intuisce ancora il secondo baratro che l’attenderà dopo un decennio.
Grazie ad una pacata lettura d’immagini come quelle di Dupont si può scoprire la Storia nella sua più intima essenza, si possono leggere le pubbliche manifestazioni affiancate alle attività della gente comune, quella che fa la storia, ma non n’è mai ricordata.
Bibliografia e sitografia:
- documenti scritti da Leonardo Mastrippolito, Edmondo Paganelli, Pier Carlo Sommo
- Comune di Torino, Settore Decoro Urbano
http://www.comune.torino.it/papum/user.php?context=opere&submitAction=dettaglio&ID_opera=M050 - Istituto Luce Cinecittà
https://www.youtube.com/watch?v=nKY6nLMLX3c
Cartoline





